Alfonsina Strada, la prima donna al Giro un secolo fa

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Tra pochi giorni prenderà il via il Giro d'Italia. L'edizione numero 104 partirà l'8 maggio da Torino e si concluderà a Milano, in piazza del Duomo, il 30 magio. Per la prima volta la corsa rosa avrà una donna auele commentatrice tecnica. Si tratta di Giada Boegato che commenterà per la Rai il Giro. Giada, padovana, 32 anni, a lungo in gara tra le Elite, ha smesso con le corse nel 2014.

Il Giro ha avuto, nel suo passato, una donna in corsa. Si tratta di Alfonsina Strada che dopo diverse esperienza in gare importanti, ha debuttato nella corsa rosa nel 1924, quasi un secolo fa.

Ecco la storia di questa pioniera del ciclismo e dello sport, storia non troppo conosciuta.

Alfonsina Strada, la prima e unica donna a correre il Giro d’Italia con gli uomini

Alfonsina era a modo suo un airone che pedalava ma le sue gesta non sono famose come quelle di Fausto Coppi. Lei, Alfonsina Morini ma per tutti sempre e solo Alfonsina Strada, il cognome del primo marito che non ha mai abbandonato, è nata nelle campagne di Castelfranco Emilia il 16 marzo 1891 dove è cresciuta libera, oseremmo dire quasi selvaggia. La sua famiglia era una tribù: dieci tra fratelli e sorelle con mamma Virginia Marchesini e papà Carlo Morini, braccianti analfabeti nell’Emilia di fine Ottocento, che tiravano avanti per sfamare tante bocche.

La bimba aveva dieci anni quando conobbe la bicicletta. Era una domenica del 1901 e il papà tornò a casa pedalando su una vecchia bici, non certo fiammante e neppure sportiva, un dono del medico condotto del paese al quale aveva portato qualche gallina e reso alcuni servizi nell’orto. Due ruote malandate, due ruote che oggi diremmo da rottamare: tanto bastarono ad Alfonsina per imparare a pedalare e innamorarsi della bicicletta fino a portarla a correre un Giro d’Italia, faticoso assai, nel 1924 e il Giro di Lombardia già nel 1917.

Le prime corse con i ragazzi

Lo fece con ardore correndo ovunque, con coraggio, misurandosi con gli uomini – all’epoca era impensabile parlare di sport femminile – spesso battendoli e dovendo superare mille ostacoli, quelli posti dalla famiglia, dai corridori, dalla morale dell’epoca. Per correre, Alfonsina si fingeva uomo e, senza timore, pedalava a fianco degli eroi del suo tempo, Girardengo, Belloni, Philippe Thys (che ha vinto tre Tour de France) e Pelissier.

Non è stata però lei la prima donna a correre in bicicletta con i maschi ma è stata la prima a vincere, a dimostrare che una donna non ha nulla da invidiare nello sport a un uomo. Cercava, a modo suo pur senza saperlo, quell’uguaglianza che l’Olimpiade non ha concesso se non nel 1928 senza dimenticare che a Ondina Valla fu impedito di andare ai Giochi di Los Angeles 1932 perché sul piroscafo diretto negli States sarebbe stata l’unica donna.

Il diavolo in gonnella

Quando ha cominciato a correre, sulle strade di casa non certo con il benestare dei genitori, Alfonsina era il “diavolo in gonnella” ma anche “la matta” di quello sparuto manipolo di cicliste, dalla Bersonetti alla Bonetti a Giuseppina Carignano, la migliore dell’epoca che venne battuta dalla Strada che nel frattempo aveva conquistato il titolo di Miglior ciclista d’Italia prima di siglare, anno 1911, il primato del mondo dell’ora su pista con 37,192 chilometri.

L’amore per le corse era sbocciato ascoltando dalla gente le storie del ciclismo narrate in paese, ciclismo epico, quello dei Ganna, dei Galetti, dei Pavesi, del pioniere del cicloturista Antonio Pezzoli. Per imparare, per annusare quel ciclismo, Alfonsina la domenica mattina diceva «vado a Messa». Invece, si allontanava da casa per andare al Bologna dove c’erano in giro 7000 biciclette (erano 100 mila in tutta Italia...) e si correva alla Montagnola e ai Giardini Margherita.

Un maiale per premio

Aveva preso a correre, Alfonsina, e a battere i maschi nelle gare di paese, tra Budrio e San Lazzaro, tra Mezzolara e Vigorso, e un giorno aveva vinto e portato a casa il premio: un maiale vivo.

Per correre si spostava da casa da sola, spesso in treno, a Torino, non certo con l’approvazione della famiglia, e a Torino la signorina Alfonsa Morini, dove ha partecipato anche a una corsa campestre a Stupinigi, ha ricevuto il titolo di miglior ciclista italiana e l’invito di recarsi a San Pietroburgo per correre il Grand Prix dove ha suscitato l’entusiasmo dello zar Nicola II e della zarina Alessandra che le hanno donato una medaglia.

La vita era tutta di corsa, dall’Emilia a Torino e poi a Milano per inseguire un sogno, con qualche lavoro di maglieria nei ritagli di tempo. Alfonsina nel frattempo, a Milano, aveva conosciuto Luigi Strada, ragazzo di tre anni più grande nato sul lago di Varese, cesellatore, piccolo inventore, appassionato di biciclette che era diventato prima suo tifoso, poi compagno e quindi marito il 24 ottobre del 1915 con il matrimonio celebrato in municipio. Il regalo di nozze? Una bicicletta nuova. Per il «sì» in chiesa occorrerà attendere i primi di ottobre del 1922.

Il primo «Lombardia» nel 1917

L’Italia era in guerra, lo sport era in retrovia e solo alcune corse dello sport più popolare, il ciclismo, sopravvissero. Il resto, cancellato, dal calcio al Giro d’Italia alle Olimpiadi. Il “Lombardia” del 1917, che si è corso il 2 novembre, ha avuto Alfonsina al via che per correre era andata alla redazione della Gazzetta per proporre la sua iscrizione in un momento che la vita non sorrideva alla sua famiglia, poco o niente il lavoro, scarsi i denari. Armando Cougnet, l’amministratore del giornale, non la rifiutò: non c’era un regolamento che vietava alle donne di correre e poi lei sarebbe stata un’attrazione lungo le strade. Era, quella, la prima vera gara con gli uomini, la prima grande sfida: 204 i chilometri, partenza e arrivo a Milano; Varese, Como, Lecco e Monza i centri da attraversare, strade bianche, polvere, buche e bici mica aerodinamiche ma pesanti una ventina di chili e senza cambio. Alfonsina con il numero 74 sulla maglia si è presentata al Trotter di Milano dove era posto lo striscione dell’arrivo un’ora e mezza dopo il vincitore, il belga Thys, insieme a Sigbaldi e Augé.

L’esperienza del 1917 al Lombardia è stata replicata un anno più tardi, con la Guerra finita una settimana prima: Alfonsina ha concluso al 21esimo posto seguita dal comasco Carlo Colombo. La «regina della pedivella» si è tolta la soddisfazione di non essere arrivata ultima.

Il Giro d’Italia 1924

Dal Lombardia al Giro d’Italia, quello del 1924. Era un anno, quello, nel quale la corsa rosa faticava a trovare campioni da iscrivere per via di una protesta dei big per questioni economiche. Avere una donna in gara poteva essere una buona trovata, una sorta di pubblicità. La Gazzetta ha accettato l’iscrizione di Alfonsina Strada dopo averla rifiutata diverse volte. Sul giornale, tre giorni prima del via, nell’elenco degli iscritti apparve accanto al numero 72, quello di Alfonsina, «Alfonsin Strada di Milano». Mancava la «a»: errore del tipografo o ordine della direzione? Il Resto del Carlino, invece, ha scritto che il numero 72 era «Strada Alfonsino di Milano». Il giorno della partenza del Giro d’Italia numero 16, il 10 maggio, la Gazzetta ha svelato il vero nome del numero 72: Alfonsina Strada.

Curiosità ma anche sarcasmo nei confronti della presenza di una donna al Giro, qualcuno disse che era una pagliacciata ma l’evento era storico. Dodici le tappe, 3613 i chilometri. Ogni arrivo di Alfonsina è stato un trionfo, fiori e regali in denaro per lei che ha corso con una divisa nera. A Roma, terza tappa con il via da Firenze e 284 chilometri di corsa, Alfonsina ha ricevuto in dono un mazzo di fiori e una busta con 5000 lire (una fortuna) dal re Vittorio Emanuele II.

Un Giro durissimo, le strade mica erano quelle di oggi. Nell’ottava tappa, l’Aquila-Perugia di 296 chilometri, Alfonsina è finita fuori tempo massimo (4 le ore di ritardo dal vincitore Giuseppe Enrici che aveva impiegato 11 ore 12’18”), ha rotto il manubrio della sua bicicletta sostituito in corsa con il manico di una scopa fornitole da una contadina. Ritiro? No. Compromesso. La Strada ha continuato pagandosi lei stessa l’albergo finendo il Giro. La decima massacrante tappa, da Bologna a Fiume di 415 chilometri, l’ha vista pedalare per 21 ore di fila.

Erano partiti in 90, solo trenta sono arrivati a Milano e tra questi lei che ha concluso la sua fatica a 28 ore 10’34” dal vincitore Enrici. Mussolini si è interessato di lei, ha detto che avrebbe avuto piacere incontrarla e conoscerla perché lei faceva onore all’Italia. Non sappiamo se mai questo incontro si è concretizzato.

La star tra varietà e circo

Era diventata famosa, Alfonsina, una star, tanto da essere invitata a varietà anche all’estero.

Dopo gli anni ruggenti del ciclismo Alfonsina si è ritirata. Aveva girato molto, aveva cambiato più volte residenza, da Milano a Bologna, poi in Sardegna, a Cagliari, ancora a Milano, e ha vissuto nuove avventure sia con la bicicletta esibendosi spesso sui rulli ma anche in spettacoli di varietà in teatro e al circo.

Rimasta vedova nell’ottobre del 1942 con la scomparsa del marito avvenuta nell’ospedale psichiatrico di San Colombano al Lambro – Luigi era impazzito - Alfonsina aveva stretto amicizia con Carlo Messori, anche lui ex ciclista che la aveva invitata a Cagliari dove viveva e dove Carlo si era separato dalla moglie. I due si sono sposati quando l’ex consorte di Missori è morta, nel 1950, per poi tornare a Milano e aprire un negozio di biciclette, «Il mio laboratorio» in via Varesina. Ha avuto tempo per un’ultima gara, nel 1956, a sessantacinque anni, una corsa per veterani a Nova Milanese, che vinse.

L’addio e la Guzzi 500

Non pedalava più per andare al lavoro, aveva sostituito la bici con una bella moto Guzzi 500. Un giorno, il 13 settembre 1959, con quella moto Alfonsina, che nel frattempo era di nuovo vedova (il seconda marito era scomparso due anni prima) è andata a vedere una classica dell’amato ciclismo, la Tre Valli Varesine. Tornata a casa, in via Varesina, ha incontrato la portiera. «Mi sono divertita tantissimo», ha sussurrato mentendo però prima di portare la moto nel negozio, ma non era vero. Due parole e poi Alfonsina ha detto alla portinaia «torno tra un attimo, vado a mettere via la moto». Che non è più partita e lei, scoraggiata, ha cercato invano di trovare una soluzione spingendola. Passarono i minuti e la portiera, non vedendola tornare, ha mandato il figlio a controllare. L’impeto di far ripartire la moto, la rabbia, lo sforzo, hanno fatto cedere il cuore di Alfonsina: la Guzzi si è rovesciata sopra l’ex ciclista. Vani i soccorsi, inutile la corsa in ospedale: il cuore di Alfonsina Strada si è fermato per sempre. Erano le nove e mezzo di sera.

Quel 13 settembre Alfonsina alla corsa non si era divertita e a casa era tornata piena di malinconia. Perché, le aveva chiesto la portinaia che aveva intuito la delusione della sua inquilina. «Perché nessuno mi ha riconosciuta, nessuno si ricorda più di me...».

Alfonsina è stata sepolta nel cimitero di Bruzzano, periferia nord di Milano e dieci anni dopo un nipote l’ha portato in quello di Cusano Milanino perché nel 1968 era stato sepolto il fratello Riccardo.

Carlo Santi