Le finali le perde chi le gioca

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Le regole del gioco e quelle tecniche, le disposizioni amministrative e tutta quella che viene indicata come normativa sportiva non avrebbe alcun fondamento se mancassero i principi cardine del fair play, della probità, della correttezza. Imparare a perdere significa accettare la sconfitta con rispetto per tutti e tutto. 

Olympialex, 12 Luglio 2021

di Cristina Varano*

Massimo, carissimo amico, eccellente avvocato di sport, che ci ha lasciato troppo presto, usava ripetere questa frase dal sapore un po’ amaro e forse, proprio per questo, vero.

Il senso tuttavia è chiaro: se arrivi a disputare la sfida finale di un torneo sei comunque un campione.

Il valore dei campioni non va raccontato: è, in quanto tale, poiché i risultati parlano più di mille parole.

Lo sport è diventato un bisogno per tutti, a tutti i livelli, e la forzata astinenza dalla fruizione, come pratica o come spettacolo, a causa del covid, ne ha amplificato l’importanza.

La primavera / estate 2021 è stagione di recupero di molte competizioni internazionali periodiche, rimaste in stand by nel 2020, con relative finali.

Come quella di Wembley, che ha portato la nostra Nazionale maschile di calcio sul tetto d’Europa, con grandissima soddisfazione generale.

Gli Europei di calcio hanno occupato i media per un mese e, per l’eccellente visibilità e impatto sul piano della comunicazione, sono stati l’occasione ideale per veicolare messaggi sociali, che hanno fatto riflettere, hanno ottenuto consenso e hanno diviso l’opinione pubblica.

È nota a tutti la querelle dell’arcobaleno mancato sull’Allianz Arena di Monaco; ma altrettanto noti gli arcobaleni diffusi in ogni occasione. E i messaggi sul rispetto e sul ‘no’ al razzismo sono passati dagli spot pubblicitari all’inginocchiarsi (o meno) prima del calcio di inizio.

Poi però abbiamo assistito ad altro: non ai fischi all’inno italiano, perché vengono dagli spalti irrispettosi, né alle bandiere tricolore strappate, quale azione sprezzante di tifosi delusi.

Abbiamo visto gli atleti inglesi che non hanno lasciato il tempo che la medaglia d’argento si appoggiasse sul petto, per toglierla con fare sprezzante e volto contrariato: immagine eloquente più di mille manifestazioni.

Si è già avuto modo, su questa pagina, di stigmatizzare il comportamento di chi al Mondiale di Nuoto di Gwangju 2019 non ha voluto condividere il podio con il cinese Sun Yang, adducendo il fatto che, per le vicende legate al doping, quell’atleta non avrebbe dovuto partecipare alla gara: con il rifiuto del podio sono stati violati i principi di lealtà, correttezza e probità, che devono essere i fari illuminanti propri del comportamento degli sportivi.

A Wembley, peraltro, non si poteva nemmeno addurre questa motivazione, a mo’ di giustificazione.

Rifiutare la medaglia da parte degli inglesi classificati secondi, è stato rifiutare il risultato, l’avversario, l’organizzazione, la gara stessa. È come dire: non sento mio questo secondo posto perché avrei dovuto (non voluto, attenzione!) vincere.

Il fondamento dello sport, l’attività che per eccellenza insegna all’osservanza delle regole, alla sana competizione, al rispetto dell’avversario, è crollato in un attimo davanti a volti ingrugniti e medaglie penzolanti tra le mani.

Allora che si parli pure di rispetto con frasi fatte, arcobaleni e ginocchia piegate, ma non si dimentichino mai i valori precipui dello sport, che insegnano a diventare campioni nella vita e non solo in campo, in piscina, in pista…

Le regole del gioco e quelle tecniche, le disposizioni amministrative e tutta quella che viene indicata come normativa sportiva non avrebbe alcun fondamento se mancassero i principi cardine del fair play, della probità, della correttezza.

Imparare a perdere significa accettare la sconfitta con rispetto per tutti e tutto.

Un atleta italiano a Londra, esattamente a Wimbledon, lo stesso 11 luglio 2021 perdeva la ‘sua’ prestigiosa finale, onorando con il sorriso il suo secondo, eccellente, piazzamento.

Non sembri retorica, piuttosto sia un invito a rispolverare e tenere vividi i colori, le emozioni, i principi propri dello sport, che in sé sono in grado di veicolare senza troppe sovrastrutture i suoi veri valori, che vanno ben oltre i confini della gara.

Perché tutti, nelle mille sfide della vita, abbiamo bisogno di quello che suggerisce, da per suo, il Dalai Lama: «Quando perdi, non perdere la lezione».

* Avvocato del Foro di Roma; esperto di giustizia sportiva; Procuratore Federale Fijlkam/Fipe